Umanesimo islamico, Abdel Latheef Chalikandi

È ormai trascorso circa un secolo dalla pubblicazione dell’enciclica Nostra Aetate , in cui la Chiesa cattolica stabiliva i termini de...


È ormai trascorso circa un secolo dalla pubblicazione dell’enciclica Nostra Aetate, in cui la Chiesa cattolica stabiliva i termini delle relazioni con le religioni non-cristiane, eppure questo documento riveste ancora, così come allora, un’importanza cruciale in un’epoca come la nostra caratterizzata da conflitti religiosi e politici di difficile risoluzione. Per questa ragione è fondamentale non cessare mai di sottolineare la dignità e la libertà umana nello scegliere la propria religione.
Nel primo paragrafo del documento vi è una chiara affermazione dell’unità dell’umanità e dell’eredità comune che si situa al di là qualsiasi religione o gruppo etnico: “L’umanità costituisce un’unica comunità in quanto tutti derivano da una coppia attraverso la quale Dio ha creato i popoli della terra (Atti 17:26), e poiché tutti condividono il medesimo destino, ossia il ritorno a Dio”.
In questo documento, la chiesa cattolica propone una sorta di umanismo di tipo religioso, anche se non confessionale, in quanto pone al centro del proprio discorso il rapporto tra Dio ed esseri umani creati, insieme alla loro libertà insita nel rifiuto o nell’accettazione di un determinato credo religioso. Questa prospettiva si pone, in un certo senso, in opposizione rispetto all’umanismo secolare, che concentra la sua attenzione prevalentemente sulla vita di questo mondo e finisce per favorire l’individualismo più incontrollato.
In un’epoca come la nostra, quando la dignità ed i diritti umani sono chiamati a dover affrontare le sfide del fondamentalismo sia religioso che secolare, che tenta di disumanizzare ogni manifestazione pubblica della religione, tutti coloro che credono nell’intrinseco valore dell’essere umano hanno il sacro dovere di celebrare il vero spirito di un documento come quello dell’enciclica Nostra Aetate.
Comunque, nonostante le sfide che sono chiamati ad affrontare nelle diverse parti del mondo, e specialmente in quello arabo-musulmano, ci sono milioni di persone che cercano attivamente di costruire ponti di comprensione tra le religioni e le culture e che, spesso, sacrificano e mettono in pericolo la loro stessa vita per proteggere la dignità ed i diritti umani, anche se la maggior parte delle volte i mezzi d’informazione di massa non danno spazio né alle loro persone né al loro impegno, in quanto preferiscono tutte quelle notizie, che sono adatte a promuovere gli interessi politici difesi.
Esiste comunque anche un umanismo di matrice islamica, che si fonda sull’interpretazione del Corano e sugli insegnamenti del Profeta Muhammad (pbsl), basata a sua volta sugli studi classici del passato. Secondo questa prospettiva la vita umana è sacra, in quanto la protezione della vita, della fede e della dignità di ogni essere umano costituisce l’essenza stessa della Shariah. Quest’ultimo termine è stato spesso equivocato in Occidente a causa del rampante fondamentalismo e del suo utilizzo inappropriato da parte di alcuni estremisti e fondamentalisti in differenti parti del mondo musulmano e persino in Occidente.
Nel Corano è scritto che l’uccisione immotivata di un solo essere umano corrisponde a quello dell’intera umanità, mentre salvare una vita significa salvare il mondo intero. Sia nel Corano che nella Sunna del Profeta Muhammad (pbsl) è presente in maniera molto chiara l’insegnamento secondo il quale uccidere una vita innocente è il peggiore dei crimini. Inoltre, il Profeta (pbsl) stesso ci ha insegnato che l’oppressione sarà la tenebra nel Giorno del giudizio, che può privare una persona della misericordia di Dio.
L’Islam cerca di proteggere la dignità umana a due livelli. Al primo viene esaltata e sottolineata la natura stessa dell’essere umano in quanto vicario di Dio sulla terra, che è chiamato per sua stessa essenza ad assumersi un’immensa responsabilità davanti al Creatore e agli altri esseri che abitano la terra. Nello stesso tempo però, nel Corano vi è anche scritto che nell’uomo vi sono anche elementi di abiezione e di male, che però l’Islam interpreta non come componenti essenziali della natura umana, bensì come il risultato diretto della disobbedienza, ribellione ed ingratitudine verso Dio, gli altri esseri umani e persino la natura. Nell’insegnamento islamico, quindi, la condizione umana non possiede un carattere trionfalistico che sembra voler condurre alla negazione del bisogno del sacro e all’affermazione della totale indipendenza da Dio. L’Islam ci insegna che l’uomo è un essere libero che Dio ha benedetto ed onorato, senza uno specifico riferimento ad una cultura o religione particolare.
L’Imam Qurtubi, un studioso della scuola Andalusa, ha sottolineato che l’onore maggiore che Dio ha concesso all’uomo è la facoltà raziocinante che, accompagnandosi alla libertà, consente di poter distinguere il bene dal male e di essere, in altri termini, responsabili delle azioni compiute in questo mondo, mantenendo fede, nello stesso tempo, ai propri doveri verso Dio e gli esseri umani.
I doveri verso gli esseri umani coinvolgono tutti i diritti civili ed umani come la libertà dalla persecuzione, diritto alla vita, alla sicurezza, ad un’ equa amministrazione della giustizia e, libertà di fede. Nella dichiarazione islamica dei Diritti umani universali, adottata nella conferenza tenutasi al Cairo nel 1994, tutte queste libertà sono state accettate come diritti umani fondamentali, anche la loro applicazione in molte parti del mondo musulmano sembra essere alquanto problematica. Comunque, la maggioranza dei musulmani-persone comuni, studiosi ed intellettuali-ha ormai compreso che le differenze civili, politiche e religiose debbono essere affrontate attraverso la reciproca consultazione.
Una fondazione filosofica ed antropologica per la preservazione e la protezione dei diritti umani è presente nello stesso Corano e, più specificatamente, nel versetto in cui si afferma: “O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda. Presso Allah, il più nobile di voi è colui che più Lo teme. In verità Allah è sapiente, ben informato”1.
Questo versetto coranico è stato rivelato nella società araba del tempo del Profeta (pbsl), che era fondata invece sul senso di superiorità tribale e razziale. Alcuni dei classici commentatori del Corano, in modo particolare Qurtubi ed Ibn Kathir, affermano che il versetto in questione venne rivelato davanti all’attitudine di alcuni musulmani, che non sembravano accettare di buon grado che il Profeta (pbsl) avesse assegnato a Bilal, un compagno di origine abissina ed ex-schiavo, l’onore di recitare l’adhan (chiamata alla preghiera) dal tetto della Ka’ba. Questa scelta del Profeta (pbsl) non raccolse il favore di alcuni musulmani originari della Mecca, che si sentivano superiori per ricchezza ed origine famigliare persino rispetto agli altri arabi.
Da una parte esiste una fratellanza umana che accomuna tutti gli esseri umani, consentendo loro che venga riconosciuta tutta quella dignità umana che Dio ha donato agli esseri umani. Però, nello stesso tempo, l’Islam, così come le altre religioni, è costituita da una comunità di credenti, che condividono una fede comune, dei doveri, dei diritti e degli obblighi all’interno della umma. Comunque, come tutte le altre comunità religiose, anche i musulmani si trovano nella situazione di dover trovare un equilibrio tra gli obblighi verso l’umanità e verso i membri della propria comunità. A questo livello però sorgono delle questioni piuttosto problematiche, anche se dal punto di vista storico così come è stato esemplificato dall’esperienza dell’Andalusia, in cui cristiani ed ebrei godevano di un livello d’indipendenza e libertà alquanto inaudito nel mondo occidentale dell’epoca, tuttavia sia in epoca classica che presente sembrano esserci stati alcuni episodi di aperta violazione dei diritti che l’Islam accorda ai credenti delle altre religioni da parte dei musulmani stessi.
A questo proposito è importante sottolineare che alcuni concetti storicamente determinati come quello, per esempio, del Dar ul Harb (terra di conflitto), inteso come opposto al Dar ul Islam (terra della pace), deve essere abbandonato e nello stesso tempo sostituito da termini e modelli che possano garantire la protezione a tutti coloro che vivono nel mondo islamico, o in qualsiasi luogo i musulmani stessi si trovino a vivere al fine di poter essere nella condizione di costruire delle società civili e democratiche.
I musulmani da questo punto di vista hanno il dovere di comprendere il loro ruolo come comunità equilibarata, umma al-wasat, al fine di diventare un luogo d’incontro e mediazione. Talal Asad in una delle sue riflessioni relative ai diritti umani nell’Islam ha suggerito di affrontare la questione come un’ iniziativa civile che prende in considerazione la libertà umana e, nello stesso tempo, si fonda sul concetto di Nasiha. Questo termine, difficilmente traducibile dall’arabo, indica l’amore verso gli altri che si fonda in ultima analisi sull’amore verso Dio, che invita il credente a condividere la bellezza della fede con gli altri, rispettando la loro libertà di coscienza.
Il Corano definisce la giustizia un attributo divino, mentre l’ingiustizia è considerata una grande violazione dei diritti umani, così come è provato dai dati storici del passato. Attraverso la creazione di una consapevolezza della giustizia e della sua importanza nei cuori e nelle menti dei credenti, la rivelazione coranica mette in guardia contro l’ingiustizia. E necessario infatti che il credente si ponga sempre dalla parte della giustizia, anche se questo dovesse implicare mettere in pericolo la propria persona ed i propri interessi, fosse anche contro la propria famiglia e comunità religiosa di appartenenza. Il Corano, inoltre, avverte i credenti dal non comportarsi ingiustamente contro nessuna comunità a causa di motivazioni del tutto arbitrarie, secondo quanto rivelato nei seguenti versetti: “O voi che credete, siate testimoni sinceri davanti ad Allah secondo giustizia. Non vi spinga all’iniquità l’odio per un certo popolo. Siate equi: l’equità è consona alla devozione”2; “O voi che credete, attenetevi alla giustizia e rendete testimonianza innanzi ad Allah, foss’anche contro voi stessi, i vostri genitori o i vostri parenti, si tratti di ricchi o di poveri! Allah è più vicino [di voi] agli uni e agli altri. Non abbandonatevi alle passioni, sì che possiate essere giusti. Se vi destreggerete o vi disinteresserete, ebbene Allah è ben informato di quello che fate”3; “Chiama al sentiero del tuo Signore con la saggezza e la buona parola e discuti con loro nella maniera migliore. In verità, il tuo Signore conosce meglio [di ogni altro] coloro che sono ben guidati”4.
All’interno del genuino insegnamento islamico i diritti umani e la dignità di ogni essere vivente sono valori non negoziabili, fondati su premesse teologiche che a loro volta definiscono i diritti ed i doveri degli esseri umani verso Dio, gli altri esseri umani, gli animali e anche la natura circostante.
Questi diritti e doveri a loro volta sono stabiliti dalla Shariah, la cui finalità è quella di proteggere la vita, la fede religiosa, la dignità umana, la famiglia ed il patrimonio, così come è stato ribadito da studiosi della portata dell’Imam al-Juwayni, di Abu Hamid al-Ghazzali e dell’Imam al-Shatibi.
Nel mondo contemporaneo, tra gli studiosi musulmani, che sono spettatori della tragica condizione dei diritti civili, della libertà religiosa e dei diritti umani in molte parti del mondo musulmano, sta crescendo sempre di più la consapevolezza che alcuni dei principi della giurisprudenza o del modo in cui comprendiamo la Shariahdevono essere ripensati e compresi di nuovo, prendendo nello stesso tempo in considerazione i molti cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo moderno.
Forse, quest’opera di reinterpretazione di certi principi della giurisprudenza, considerando la complessa situazione del mondo moderno, potrebbe costituire la soluzione a molte delle questioni che i musulmani sono chiamati ad affrontare.
Ibn Qayyim al-Jawziyyah ha definito la Shariah nel modo seguente: “La Legge islamica si basa sulla saggezza e sul raggiungimento del benessere in questa vita e nell’Altra. La Shariah è finalizzata al raggiungimento della giustizia, della misericordia, della saggezza e del bene. Di conseguenza, ogni regolamentazione che scambia la giustizia con l’ingiustizia, la misericordia con il suo opposto, il bene comune con la corruzione, è una regolamentazione che non appartiene alla Shariah, anche se alcune interpretazioni sembrano sostenere il contrario”5.
Ibn Qayyim scrisse queste parole in un’epoca di estrema difficoltà per il mondo islamico, quando l’impero musulmano dell’epoca stava crollando sotto il peso dell’invasione mongola, e quando Baghdad, allora capitale dell’Impero, fu quasi completamente distrutta. Ora, che la storia sembra di nuovo ripetersi, il musulmani hanno forse bisogno di un nuovo riformatore o di una nuova visione fondata sui diritti umani e la vera fede in Dio per costruire ponti tra le differenti culture e religioni. L’Islam, nel corso delle alterne vicende che hanno caratterizzato la storia della comunità, ha sempre mostrato di possedere ampie risorse culturali, teologiche e politiche per affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Qualora l’Islam fosse messo nella condizione di poter esprimere in pieno tutte le sue potenzialità dei suoi insegnamenti verso questa direzione, ciò sarebbe di beneficio non solo per i membri della comunità, ma anche per il mondo intero.
Gli stessi musulmani purtroppo stanno affrontando un tentativo provenente dall’interno della stessa comunità finalizzato ad arrestare un genuino processo di rinnovamento e di riforma, dovuto principalmente ad una mancanza di autorità religiosa e culturale all’interno della comunità, che ha fatto si che persone inadeguate dal punto di vista culturale possano emettere dei pronunciamenti giuridici, che sono in realtà del tutto estranei al vero insegnamento islamico. Sfortunatamente, molti musulmani, appartenenti specialmente alle giovani generazioni, che a loro volta non hanno avuto la possibilità di studiare in modo approfondito i veri insegnamenti islamici, vengono tratti in inganno da queste fatwa, provocando seri problemi sociali ed alienandosi progressivamente dalle società di appartenenza.
Nell’Islam sunnita, proprio a causa dell’assenza di un clero istituzionalizzato, nell’epoca classica era prestata una grande attenzione all’insegnamento e questo ha fatto si che vi fossero studiosi di alto livello non solo nell’ambito religioso, ma anche in quello scientifico, sociologico e filosofico. Inoltre, nel mondo musulmano contemporaneo, vi è anche una grande frammentazione a livello sia politico che sociale, che si oppone ad un percorso che sia in grado di condurre ad una rinascita spirituale, religiosa e politica del mondo musulmano. Nel Corano è scritto anche che Dio non muta il destino di una comunità fino a quando i suoi appartenenti non inizieranno a mutare dal proprio interno. Questo significa che i continui rimproveri mossi all’Occidente da parte del mondo musulmano non contribuiranno a risolvere nessun problema. Quello che nel mondo musulmano contemporaneo serve è una nuova visione, una nuova prospettiva che sia in grado di condurre i musulmani a ricostruire la propria vita nazionale, religiosa, per essere costruttori di pace e di dialogo tra le diverse culture.



In questo testo si è cercato di tracciare una linea di continuità storica tra
la predicazione di Gesù di Nazareth e l’inizio dell’attività profetica del Profeta
Muhammad alla Mecca, nella penisola arabica. Tra i due eventi intercorrono
sei secoli, che hanno visto l’estinzione del paganesimo e la
diffusione della fede cristiana in gran parte del mondo civilizzato. Questi
sei secoli però, da un punto di vista storico, presentano delle ambiguità e
degli enigmi relativi per la maggior parte allo sviluppo e al consolidamento
del cristianesimo relativamente alle scritture riconosciute come canoniche,
alle alterne vicende che hanno caratterizzato i primi anni di vita della prima

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