L'incontro tra Islam ed Occidente, Muhammad Asad


I musulmani più colti sono sempre stati consapevoli dell’esistenza di un’ intensa relazione storica tra il mondo dell’Islam e quello dell’Occidente. Per circa un millennio infatti questi contatti hanno esercitato una potente influenza sulla storia politica e lo sviluppo culturale dell’Occidente. In particolare, gli aspetti politici di questa relazione sono considerati responsabili fino ad oggi del punto di vista da cui gli occidentali guardano al mondo musulmano e ai suoi problemi. D’altro canto, in contrasto con l’influenza millenaria che l’Islam ha irradiato verso l’Occidente, è accaduto che il fenomeno opposto, ossia l’influenza occidentale sul destino politico, sociale e culturale del mondo musulmano, ha iniziato ad avere effetto molto più tardi.
Comunque, questo dato di fatto non deve essere interpretato in maniera erronea. Gli innumerevoli conflitti tra l’Oriente musulmano e l’Occidente, che sono durati secoli e hanno condotto prima ad una rapida espansione della cultura islamica in molte parti dell’Europa e poi anche ad un suo ritiro forzato, hanno avuto un ruolo importante nel determinare il profilo della storia politica musulmana. Però, anche se tutto questo può apparire strano ad un osservatore disattento, lo sviluppo di queste relazioni è stato limitato al regno del semplice potere politico e non ha toccato il destino interiore del mondo dell’Islam. Fu solo nel mezzo del diciannovesimo secolo che le idee e le istituzioni europee, appoggiate dal rapido sviluppo dell’industria e dal rinforzarsi della forza militare, hanno cominciato ad esercitare un fascino piuttosto intenso sui musulmani; e questo ha gradualmente portato ad alcuni cambiamenti nell’ambito della vita sociale musulmana, la cui forma e direzione finali non possono essere tutt’oggi predette con nessuna certezza.
Comunque, sappiamo che per più di mille anni l’Occidente è stato incapace di trasmettere qualcosa di positivo al mondo dell’Islam, perché per più di un millennio furono i musulmani che diedero qualcosa di positivo all’Occidente nel senso culturale del termine. Infatti, se consideriamo la questione dal punto di vista storico, è accaduto solo poco tempo fa, ossia all’inizio dell’era industriale, che l’Occidente ha assunto un ruolo attivo mentre il mondo musulmano quello passivo. La questione se questo cambio di rotta può essere considerato dai musulmani come un progresso positivo nel senso sociale e culturale lascia spazio ad una varietà di risposte. Sebbene i molti impulsi nell’ambito della scienza e tecnologia, che l’Occidente ha trasmesso recentemente al mondo musulmano, sono la causa del suo progresso materiale, non si dovrebbe dimenticare che, in primo luogo, molti di questi impulsi hanno avuto origine nel tentativo dell’Occidente di dominare politicamente i paesi musulmani; e, dal momento che questi tentativi per la maggior parte hanno avuto successo, hanno portato ai musulmani non solo certi vantaggi materiali ma anche numerosi svantaggi culturali. Il maggiore di questi svantaggi è ovviamente il diminuire della sicurezza di sé, che è oggi evidente in quasi tutti i paesi musulmani. Questa diminuita sicurezza di sé ha condotto all’indebolimento delle convinzioni religiose di molti musulmani educati e all’aumento delle tendenze nazionaliste contrarie al concetto universale della fratellanza musulmana.
Qualunque possa essere il giudizio su questo dato storico; se si accoglie l’influenza occidentale sul mondo dell’Islam come un fenomeno desiderabile e positivo o se si considera il progressivo indebolimento dell’identità culturale musulmana come una perdita non solo per se stessi ma anche per tutta l’umanità in generale, rimane il fatto che nella coscienza dei musulmani questo aspetto della relazione tra Oriente ed Occidente ha assunto, storicamente parlando, solo nell’ultimo secolo e mezzo, il carattere di una problematica che necessita di una risposta pronta.
In questo contesto un pensatore musulmano è a priori colpito dalla convinzione occidentale, secondo cui un’occidentalizzazione del mondo islamico, ossia una rinuncia alla sua eredità culturale e un’omologazione delle sue idee e stili di vita a quelli dell’Occidente, è desiderabile da ogni punto di vista. Questa convinzione ovviamente si fonda su due presupposizioni di base: i modelli occidentali di pensiero e le istituzioni sono superiori a quelli islamici; e le tradizioni dell’Islam sono limitate storicamente e quindi non possono condurre ad alcun progresso. Di conseguenza prima perdono la loro originaria presa sulla società, meglio sarà per i musulmani stessi e per il mondo in generale.
Nessun musulmano credente, ossia nessuna persona che aderisce con coscienza alla visione del mondo musulmana e la considera come la verità ultima, può accettare il punto di vista occidentale, precedentemente menzionato, come una proposizione valida. Ciononostante, noi musulmani dobbiamo rispondere a due importantissime questioni: è desiderabile una comprensione migliore e più profonda tra il mondo dell’Islam e l’Occidente? E, secondariamente, come possiamo rendere possibile questa comprensione?
Ovviamene c’è solo una risposta alla prima domanda: non c’è dubbio che una migliore comprensione tra queste due entità culturali è molto desiderabile nell’interesse del futuro del mondo intero. Se comprendiamo, e molti contemporanei già lo hanno fatto, che l’aspro conflitto tra le opposte tendenze prevalente in tutto il mondo non è un conflitto esclusivamente economico e sociale, ma tocca nel più profondo le diverse concezioni relative al fine e al valore della vita umana, iniziamo anche a capire che le misure socio-economiche non saranno mai capaci da sole di salvare la libertà e la dignità dell’uomo dalle forze del desolato materialismo che cerca di sopraffarci. Sia che siamo cristiani, ebrei o musulmani, siamo condannati a soccombere in questa lotta a meno che non siamo capaci di suscitare, dall’interno di ognuna delle società esistenti, la forza di sostenere i valori religiosi e spirituali che sono i soli che possono combattere il materialismo.
È ovvio che, invece di provare un sentimento di gioia a causa di un ipotetico oppure reale indebolimento della fede religiosa nel mondo musulmano, invece di accogliere con giubilo ogni segnale presso i musulmani educati di abbandono dell’Islam come un progresso, i cristiani consapevoli dovrebbero considerare questa separazione e un tale indebolimento come una minaccia alla loro stessa identità culturale e sociale, perché quello che oggi è in gioco non è questo o quel dogma della cristianità e non uno od un altro aspetto dell’Islam, ma la libertà spirituale dell’uomo come tale, ossia il suo diritto di credere nell’esistenza di Dio e di conformare la vita umana a questa credenza. Visto da questo punto di vista, gli interessi del cristiano e del musulmano non sono solo paralleli ma anche identici, e una collaborazione stretta tra questi due grandi fedi non è solo desiderabile ma piuttosto dovuta, necessaria ed anche possibile.
Ora arriviamo alla parte più difficile della questione: come può essere possibile una migliore comprensione e una più stretta collaborazione tra queste due fedi?
L’ostacolo maggiore verso questo fine può essere espresso in due parole: reciproca diffidenza. La maggioranza dei musulmani diffida dell’Occidente perché durante gli ultimi due secoli sono stati testimoni di innumerevoli invasioni contro la libertà politica dei paesi musulmani e perché quasi ogni paese musulmano è ancora esposto alla pressione del potere politico occidentale e perché l’attitudine della maggior parte degli Occidentali è eclissata da un ostile pregiudizio contro la fede islamica come tale, un pregiudizio così radicato che gli stessi occidentali a volte ne sono del tutto inconsapevoli.
È vero che molti elementi della cultura musulmana, specialmente gli aspetti romanticizzati, sono ampiamente ammirati in Occidente. Comunque, tutta l’ammirazione occidentale per Le Notti Arabe o per la poesia di Umar Khayyam o lo splendore architettonico del Alhambra non può costituire per i musulmani una riparazione morale per le continue diffamazioni del loro Profeta, che si trovano in tutta la letteratura occidentale, e nemmeno può cancellare il fatto che molti occidentali considerano l’Islam come una specie di superstizione, priva di valori morali e come un ostacolo al progresso per i suoi fedeli. Non sorprende, quindi, che la maggior parte dei pensatori musulmani rimangono sospettosi quando viene loro detto che l’antica attitudine occidentale verso l’Islam è mutata recentemente e che l’Occidente punta a una nuova e positiva relazione con il mondo islamico, perché un musulmano può considerare una relazione positiva solo sulla base della stima reciproca e sul riconoscimento di eguali diritti. Tutto ciò non può essere possibile fino a quando ogni manifestazione di una religiosità rinvigorita tra i cristiani è descritta (a ragione) come un “risveglio spirituale”, mentre ogni manifestazione simile all’interno del mondo musulmano è bollata inevitabilmente come fanatismo.
Dobbiamo considerare tutti questi fattori, se vogliamo raggiungere un vero progresso nelle relazioni tra le nostre due comunità. Dal momento che l’Occidente è ai nostri giorni più forte economicamente, politicamente e scientificamente, è suo dovere compiere il primo passo verso quest’ obiettivo.
Non deve, comunque, apparire strano che molti occidentali trovano difficile vincere la loro diffidenza verso il mondo musulmano e compiere il primo passo. La loro difficoltà è causata non solo dalla memoria storica dei secoli di guerre tra musulmani e cristiani, che li hanno abituati a considerare il mondo dell’Islam come un nemico ereditario e, comunque, ad identificare l’antica minaccia musulmana per l’Europa con l’Islam stesso. Questa erronea identificazione non sorprende, se si considera che la nascita degli studi islamici nell’Europa medievale è stata il risultato degli sforzi missionari e che fino alla fine del diciottesimo secolo i soli studiosi europei di lingua e cultura araba erano i missionari, che consideravano loro sacro dovere quello di rifiutare polemicamente l’insegnamento del Profeta. Il risultato di ciò è l’immagine distorta dell’Islam e della sua storia che incontriamo nel pensiero e nella letteratura popolare occidentale.
Un esempio lampante di questa distorsione, tra gli innumerevoli altri, è la concezione che gli occidentali hanno della jihad. Nella mente di quasi tutti gli occidentali questa parola evoca lo spettro della guerra fanatica contro tutto ciò che non è islamico e, in particolare, un tentativo violento di conversione dei non musulmani alla fede islamica. Finalmente però quasi tutti gli storici hanno abbandonato la favola della forzata conversione all’Islam per mezzo del fuoco e della spada. Questa prospettiva è rifiutata nello stesso Libro Sacro dei musulmani, ossia il Corano, dove è scritto: “ 2:256”. Sulla forza di questa proibizione tutti i giuristi islamici (fuqaha), senza nessuna eccezione, sostengono che la conversione forzata è nulla sotto tutte le circostanze e che ogni tentativo di forzare un non-credente ad accettare la fede islamica è un grave peccato. Lo stesso Profeta infatti ha sottolineato in più di un’occasione che un musulmano, che si macchia di questo peccato, cessa di essere tale.
Per quanto riguarda la jihad il Corano la definisce chiaramente come una guerra di difesa. La Legge Coranica a questo proposito è molto esplicita:

A coloro che sono stati aggrediti è data l’autorizzazione di difendersi, perché certamente sono oppressi e, in verità, Dio ha la potenza di soccorrerli; a coloro che senza colpa sono stati scacciati dalle loro case solo perché dicevano “Dio è il nostro Signore”. Se Dio non respingesse gli uni per mezzo degli altri, sarebbero ora distrutti monasteri e chiese, sinagoghe e moschee nei quali il nome di Dio è spesso menzionato ( Il Sacro Corano 22:39-40).


Con queste parole il Corano si riferisce all’ auto-difesa, che sola può giustificare moralmente una guerra, e il riferimento non solo alle moschee ma anche ai monasteri, chiese e sinagoghe, chiarisce il fatto che i musulmani sono obbligati a difendere non solo la loro libertà politica e religiosa, ma anche quella dei non musulmani che vivono pacificamente nel loro territorio. In nessuna circostanza inoltre l’Islam permette ai suoi fedeli di iniziare una guerra di attacco. Il Corano dice:

Combattete per la causa di Dio contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi, perché Dio non ama coloro che eccedono (2:190).

Combatteteli finché non ci sia più persecuzione e il culto sia reso a Dio. Se desistono non ci sia ostilità, a parte contro coloro che prevalicano (2:193).


La precedenti citazioni dal Corano dovrebbero essere sufficienti per convincere gli occidentali che l’Islam non permette una guerra che non sia di autodifesa e che l’immagine occidentale della jihad, intesa come mezzo per propagare con la forza la fede islamica, è completamente erronea.
In questa connessione, è bene ricordare anche che il termine jihad come tale non si limita alla guerra armata, ma possiede anche una connotazione spirituale, perché deriva dal verbo jahada, che significa “sforzarsi” contro una disposizione malvagia. Per esempio, il Profeta Muhammad descrive la lotta interiore di un uomo contro le sue passioni e le sue debolezze come la più nobile jihad con un chiaro riferimento alla connotazione morale di questo termine così equivocato in Occidentale.
Ciononostante però, non c’è dubbio che nel corso della loro storia i musulmani non sono rimasti fedeli agli autentici insegnamenti della loro fede e che in più di una occasione hanno intrapreso delle guerre di aggressione nel nome dell’Islam. Però i Cristiani sono sempre rimasti fedeli agli insegnamenti della loro fede? Può una persona ragionevole sostenere che gli insegnamenti di Cristo devono essere respinti perché molti dei suoi seguaci più tardi hanno cessato di agire in accordo con essi? Per quanto sia stato grande il messaggio d’amore di Cristo, anche la storia della cristianità è stata piena di violenza e di guerre, proprio come la storia del mondo musulmano. Si dovrebbero solo ricordare le guerre sassoni di Carlo Magno nel corso delle quali colonne di pagani sassoni furono uccisi perché si rifiutarono di convertirsi al Cristianesimo o le crudeli guerre di religione al tempo della Riforma e le torture degli eretici da parte dell’Inquisizione Cattolica durante il Rinascimento. Noi musulmani, però, non pensiamo di ritenere gli insegnamenti di Gesù Cristo responsabili per la cattiva condotta delle persone che si definiscono cristiane, proprio come riteniamo che né l’Islam né il Profeta possono essere ritenuti responsabili per la cattiva condotta di coloro che si definiscono musulmani.
Ora consideriamo la questione relativa alla cooperazione tra l’Occidente cristiano e il mondo dell’Islam. Dobbiamo pensare in termini di tentativi basati sul vero spirito di ognuna delle due religioni, perché, per quanto le nostre teologie possano differire, è chiaro che le valutazioni etiche e morali dell’Islam e del Cristianesimo sono su alcuni punti molto vicine. Però al fine di raggiungere una piena e reciproca comprensione e costruire insieme una resistenza ideologica contro le forze disgregatrici del materialismo, che si sono espanse in tutti gli angoli del mondo, noi musulmani dobbiamo chiedere ai cristiani di essere giusti verso l’Islam.
Questo certamente non è molto facile. Dopo secoli di pregiudizi, molti occidentali possono trovare estremamente difficile liberarsi dalle loro antiche credenze e guardare all’Islam con la serietà intellettuale, che una fede con ottocento milioni di fedeli merita. D’altro lato, i musulmani stessi debbono diventare consapevoli del fatto che fino ad ora hanno fatto veramente poco per rendere l’insegnamento dell’Islam comprensibile all’Occidente. Per questo motivo una nuova presentazione dell’Islam da parte di intellettuali e scrittori musulmani è indispensabile per una reciproca comprensione tra le due fedi, perché l’insegnamento dell’Islam contiene molti punti che non sono immediatamente chiari o intellettualmente attraenti per un cristiano. Per esempio, l’Islam è libero dal concetto di “peccato originale” e, quindi, anche dalla necessità di “salvezza” come è concepita dall’insegnamento cristiano. Inoltre, differentemente dal cristianesimo, gli insegnamenti dell’Islam non sono limitati ai problemi della credenza e della moralità, ma abbracciano tutti gli aspetti della natura umana: spirituali, fisici, individuali e sociali.
Tutto ciò potrebbe sembrare strano ad un cristiano, perché per lui il concetto della fede è relativo solo alle relazioni tra uomo e Dio e alle attitudini morali, e per questo motivo l’Islam gli appare troppo mondano e differente da ciò che gli occidentali intendono come religione. Quindi, è dovere morale dei musulmani portare le premesse intellettuali dell’Islam vicine alla comprensione cristiana, allo stesso modo in cui è un dovere morale dei cristiani trattare i problemi del mondo islamico con lo stesso spirito di giustizia che chiedono per i loro. Quando queste richieste saranno soddisfatte, i cristiani e i musulmani comprenderanno che la prospettiva etica che hanno in comune queste due religioni è molto più importante delle differenze.


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